La nostra forza è nella ruota

1 ottobre 2023. Il discorso di insediamento di don Piero Albanesi

“Nella prima domenica di ottobre del 2005 mi prostravo sul marmo di questo pavimento per essere consacrato diacono. Oggi, prima domenica di ottobre di 18 anni dopo, sono tornato qui, in questo luogo che conserva la memoria di più di mille anni di storia della nostra amata città, come servitore e parroco di questa insigne collegiata e della città intera.

Sono stato accompagnato a piedi dalla mia comunità di Bonascola, la più giovane chiesa del Vicariato, con la quale sono cresciuto come uomo e come pastore, verso la chiesa madre più antica. È una gioia essere qui con mia mamma, i miei familiari, gli amici nuovi e quelli di sempre, e i miei confratelli preti affidati alla custodia del nostro amato vescovo Mario. È tutto bello, come queste pietre, ed è tutto bello perché siamo certi di essere qui – io per primo, con voi – non per occupare spazi ma per generare processi.

Sono due i motti che mi hanno guidato fino ad ora e che voglio confermare qui con voi: la preghiera e il sacrificio per il servizio che ho vissuto in Azione Cattolica, e porre il mio onore nel meritare fiducia, che è la prima legge scout.

La scelta di costituire una nuova entità parrocchiale per la città di Carrara è di fatto un ritorno alle origini per questa comunità, che fino a meno di un secolo fa era un’unica parrocchia dove i presbiteri in servizio, riuniti in un capitolo, si prendevano carico di tre cose: del governo, della cura delle persone espressa come cura d’anime e della gestione corretta delle risorse economiche. Sono le tre caratteristiche da tenere insieme perché si cresca, perché il sogno di trovarci uniti ci faccia sentire arricchiti, fuori dalla logica del faccio da solo per far meglio, offesa ai doni dello Spirito Santo.

Governo, cura delle persone e gestione delle risorse che non saranno sostenuti da una chiesa clericale, ma da un gruppo di laici e consacrati, che studieranno, faranno discernimento e sceglieranno per il bene di tutta la città e non solo per la propria comunità parrocchiale di origine. Un’unione che promuova il bene di tutti, in cui ognuno dia il meglio di sé. Non custodire la storia in modo sterile, ma fare la storia, generando all’amore per la nostra città ogni suo membro e ospite.

Anzitutto voglio esprimere l’amore per queste pietre e per questo luogo, come espressione del più grande amore per le pietre vive che siete voi, e che in questi giorni ho già avuto modo di incrociare, e vi ringrazio profondamente per essere oggi qui, per il servizio fatto da molti di voi per rendere questo un momento di festa dell’intera comunità, a partire da don Raffaello che mi ha accolto come un padre, con il suo entusiasmo infaticabile, fino a don Giuseppe Carpena.

Don Giuseppe, classe 1928, prete più anziano dell’intera diocesi, che ha detto qui nella sua parrocchia la sua prima Messa nel 1952, nei giorni scorsi mi ha raccontato di quando, nel 1944, ha salvato il parroco don Spadoni dall’arresto dei tedeschi, mediando con il comando della Wehrmacht, di stanza alla Padula. Mentre mi raccontava, l’ho visto sedicenne nel 1944 correre tra questi marmi, per difendere il suo parroco.

Questo Duomo che si apre alla vista, senza una piazza, quasi a stupire, sembra dire che, come nella vita, prima avvengono gli incontri poi ci si interroga sul senso, prima ci si stupisce poi ci si appassiona. Questo Duomo che è sintesi di un incontro: maestranze parmigiane nel portale e nei capitelli, stile lucchese nella parte più antica, romanica, fino al gotico fiorito di scuola pisana e alla torre tipicamente genovese. Questo Duomo dice che la periferia, come la nostra provincia, rispetto alle città, può essere sintesi e integrazione del meglio.

Qui artisti, architetti, scalpellini, decoratori, artigiani tessili e argentieri hanno lasciato il loro contributo. Questo luogo è segno di un arricchimento che è venuto da fuori ed è diventato nostra identità. Mai aver paura di chi viene da fuori, ma invece aver paura di non aver senso di identità.

Vorrei fermarmi su tre delle decine di particolari di questo luogo, mirabilmente descritto dal rimpianto maestro e appassionato e cultore Giancarlo Paoletti, nel suo testo La Bibbia di pietra. La prima è l’offerta di Melchisedek, il sommo sacerdote, ad Abramo e Sara, sul capitello esterno. Il patriarca della fede riceve da un uomo più importante di lui l’offerta del pane benedetto, ma lo riceve dalle mani della moglie Sara, donna che accoglie questo pane che condividerà col marito. Nelle nostre relazioni c’è sempre qualcuno più importante di noi, che si dona a noi, generando stupore: il dono va condiviso, è una pagnotta per più persone.

All’interno, un altro meraviglioso incontro, l’Annunciazione conservata in questa chiesa da quasi settecento anni. Un messaggero, questo è l’angelo, che irrompe nella vita di una giovane, in questo caso con i tratti e le caratteristiche di una cortigiana medioevale: una giovane donna dai capelli sciolti, emancipata perché sapeva leggere. Lui entra nella sua vita a passo deciso, e prima di chiedere qualcosa, le fa vedere quello che è: piena di Grazia, con il Signore nel suo intimo. In altre parole, le dice: sei una meraviglia, il Signore stesso è con te! Il sì di Maria è il lasciarsi sedurre dalla forza e dalla presenza di Dio stesso. Sembrano – non me ne vorranno gli amici che vengono da fuori – dirsi… da reta a me, mi’ com a son bel, e lei che risponde cos ‘t vò, con il piglio nostro carrarino, e però dentro ha già detto di sì, con generosità.

È il sì alla proposta di una vita piena, in cui realizzare quello che è già scritto, è il sì fiducioso nell’intraprendere un cammino come quello che la porta sulle montagne verso la cugina Elisabetta, che è ancora raccontato in un capitello opera di Niccolò di Wiligelmo, dei primi decenni del 1100, e che emerge dalla penombra dell’edificio per essere illuminato sempre dalla luce che entra dalla porta laterale. Due donne si intrecciano le mani, si abbracciano, stringendosi le spalle, quasi sorridendosi, e sono una donna troppo giovane e una troppo avanti con gli anni: sono l’immagine della Chiesa, chiamata sempre a generare, oltre le sue stime di forze e possibilità. Accanto a loro ci sono Abramo che esce dalla sua terra e cerca alleanza con il Signore, Zaccaria con il suo silenzio, Giuseppe confortato nel suo dubbio.

Quel pane di Sara è il pan fat ‘n cà delle donne carrarine, quell’abbraccio tra Maria ed Elisabetta è l’abbraccio delle nostre nonne e delle nostre mamme, quel sì è la perseveranza delle nostre donne fino a noi, è un passaggio di gene-razioni, quelle che hanno trasmesso la fede a noi, a me, fino alle donne del 7 luglio del 1944 che hanno difeso la città.

Voglio fare il nome di alcune, per ricordarle tutte: Ines, Idea, Lisetta, la Alfredina e la Giovanna Nardi, per tutti zia Gio. Sono queste donne, con il loro protagonismo, che hanno consegnato a don Raffaello 37 anni fa la lista dei malati da mettere sull’altare tra i doni dell’offertorio, che oggi abbiamo con nuove persone riportato all’altare, come vera reliquia di quel Cristo di carne che incontriamo dopo averlo adorato nel suo vero corpo sull’altare, come ogni giorno ha cercato di vivere nella visita agli anziani e ai malati il nostro don Raffaello.

La nostra città fatta di gente resistente, tenace, vera e autentica, perspicace nel giudizio, una città che magari guarda con un pizzico di invidia il benessere altrui con meno risorse delle nostre, ma una città che non si svende. Che ci insegna, con la sua storia non solo artistica e culturale ma ancor di più umana e relazionale, che ha bisogno di essere amata, curata, senza aspettare che ci sia qualcun altro che lo fa. Una città che troppo facilmente siamo propensi a denigrare per alcuni difetti, che spesso ci sembra ancora molto da valorizzare.

La nostra identità dipende da noi, nella nostra storia c’è il dono. Io lo riconosco nei miei avi, in mio padre Luciano, nei miei nonni paterni, la mia nonna Elide tra le prime ragioniere donne uscite negli anni ’20 dall’istituto Zaccagna, il mio nonno Piero Albanesi, responsabile dei giardini e del verde pubblico cittadino, il mio nonno Mario del Sarto che per passione a Mortarola ha scolpito un monte intero, e la mia nonna Giovanna, con tutta la bellezza e la certezza che solo una nonna casalinga può dare.

A tutti coloro che hanno paura del futuro mi sento di dire che chi vive il presente nella sua pienezza perché sa apprezzare il passato non ha paura del domani.

Iniziamo a gareggiare nello stimarci a vicenda, sogniamo, progettiamo, cerchiamo risorse, e saremo come Maria ed Elisabetta che incontrandosi faranno danzare il bambino che hanno dentro. Proveremo anche noi, io, don Mario, don Cesare, padre Luigi e padre Giovanni, a fidarci del Vangelo che invita ad andare oltre, a sentire che questa sfida non leva nulla a nessuno ma arricchisce tutti.

Non siamo pastori e voi gregge, no! Siamo tutti gregge, con un unico pastore, Gesù Cristo, che non divide ma unisce, che con la sua forza guida e consola. Tutti cittadini della stessa dignità, con opportunità diverse ma grandi allo stesso modo, chiamati ad offrire sé stessi per quel cambiamento che vogliamo vedere realizzare intorno a noi.

Io sono qui per ridire il mio semplice e piccolo sì per la realizzazione della casa comune, e continuare a portare il testimone della fede e della passione per l’umanità.

Oggi inizia un capitolo nuovo, che andrà bene fino a quando, una volta realizzato, qualcuno ne troverà uno migliore. Quindi, ancora Grazie della vostra presenza a tutti voi, per quello che rappresentate ma che soprattutto siete, grazie per sentirvi coinvolti in questa nuova pagina della nostra chiesa carrarina – mai dirò carrarese!

Augurandomi di poter assomigliare un po’ alla bellezza di queste pietre, e cioè – come diceva Michelangelo – levare quello che è in più per far emergere la meraviglia che contengono. Vorrei che ci sentissimo come il nostro motto cittadino esprime: Fortitudo mea in rota, in movimento, oltre i pregiudizi, oltre il sempre fatto, aperti a esplorare strade nuove.

La nostra forza è nella ruota, dice il nostro motto, e dice anche un po’ il rosone del Duomo. La nostra forza è il movimento, con senso di umiltà e giustizia, che come la libertà non sono mai fuori moda. Con questi sentimenti inizio il mio percorso di vita con voi e per voi”.